Le ragioni dello sciopero generale del 14 dicembre 2022

Una manovra economica sbagliata e da cambiare, che non risponde alle reali emergenze del Paese, a partire dalla condizione materiale dei lavoratori e lavoratrici, pensionate e pensionati, cittadini e cittadine. Sono le ragioni che hanno spinto la Cgil Puglia a proclamare lo sciopero generale di 8 ore nella giornata di mercoledì 14 dicembre con manifestazione regionale che si terrà a Bari.

Una legge di bilancio irricevibile per la Cgil, perché colpevolizza e punisce i poveri, aumenta la precarietà, premia gli evasori e aumenta l’iniquità del sistema fiscale, non fa nulla per sostenere salari e pensioni. Dal ripristino dei voucher alla flat tax, dall’abolizione del reddito di cittadinanza alle misure previdenziali, dalle poche risorse per sanità e scuola, è lungo l’elenco delle doglianze del sindacato. Uno sciopero necessario, allora, per sostenere nell’iter di discussione della manovra in Parlamento quelle che sono le piattaforme rivendicative e le richieste tese a ottenere risposte urgenti e necessarie ad affrontare questa fase, in cui sta peggiorando la condizione delle persone, aumentano le disuguaglianze sociali e territoriali, frenano lo sviluppo del Paese.

Ragioni che viste dal Sud e dalla Puglia assumono tinte ancor più scure: dal lungo l’elenco delle crisi produttive al 25% di persone che vivono in condizioni di povertà relativa, dalle opportunità occupazionale legate solo a forme precarie di impiego ai bassi salari frutto della specificità del nostro sistema di imprese, dalle pensioni mediamente al di sotto dei mille euro ai problemi che affliggono il sistema sanitario, dalle difficoltà che vivono gli enti locali nel garantire un adeguato livello quantitativo e qualitativo di servizi pubblici al dramma dell’emigrazione giovanile, nella nostra regione le emergenze reclamano una mobilitazione che chieda al Governo di dare risposte alle priorità vere del Paese.

Il tutto mentre l’Italia e l’Europa vivono uno dei momenti più difficili della loro storia, tempi che reclamano politiche di pace, investimenti per il lavoro e non per le armi.

È lungo l’elenco delle doglianze:

– L’EMERGENZA SALARIALE non è affrontata.  Si proroga la decontribuzione fino a € 35.000 già conquistata con il precedente Governo. Noi avevamo chiesto di portarla dal 2% al 5% (perché c’è almeno una mensilità da recuperare) e di introdurre un meccanismo automatico di indicizzazione delle detrazioni all’inflazione (cosiddetto recupero del drenaggio fiscale), di detassare gli aumenti previsti con i contratti nazionali e di assegnare loro, attraverso la via legislativa, un valore generale sancendo così un salario minimo e diritti normativi per tutte le forme di lavoro.

– In un Paese in cui le persone in povertà assoluta sono cresciute oltre i 5 milioni, il Governo non trova di meglio, per far cassa, che annunciare il superamento del REDDITO DI CITTADINANZA dal 2024, con una serie di inaccettabili penalizzazioni già nel 2023.

– Le MISURE FISCALI sono inique: la tassa piatta al 15% per i redditi da lavoro autonomo, fino a 85 mila euro, indica chiaramente la volontà di smantellare la struttura progressiva del nostro sistema fiscale e al tempo stesso rafforza l’iniquità di una misura che vede i lavoratori dipendenti e pensionati tassati il doppio di coloro che hanno redditi tre volte superiori. Inoltre, invece di dichiarare guerra all’evasione fiscale, assistiamo a “tregue” che hanno l’unico scopo di favorire chi le tasse non le ha pagate: uno schiaffo in faccia ai milioni di contribuenti onesti di questo Paese. Si limitano a tassare solo al 35% gli extraprofitti (vuol dire che il 65% non viene redistribuito) e in Italia i salari e le pensioni continuano ad essere tassati di più delle rendite finanziarie.

– La piaga della PRECARIETÀ che riguarda in particolare i giovani, le donne ed il Mezzogiorno viene addirittura rafforzata, in settori particolarmente fragili, attraverso la reintroduzione dei voucher, che rappresentano una vera e propria mercificazione del lavoro senza diritti e senza tutele, oltre a riproporre un modello che deprime l’economia.

– Non ci sono gli investimenti necessari per rafforzare la COESIONE SOCIALE e contrastare le disuguaglianze a partire dal sistema pubblico e dall’occupazione pubblica. In particolare mancano risorse per il diritto all’istruzione, per la sanità che ha affrontato e sta affrontando gli effetti drammatici della pandemia e sul versante del contrasto alla povertà assoluta, si cancellano strumenti essenziali come il reddito di cittadinanza, in cambio di voucher e social card.

Sulle PENSIONI ci si inventa un’ulteriore quota (stavolta siamo arrivati a quota 103) si peggiora l’opzione donna non si allarga l’Ape sociale e non si modifica in nulla la Legge Fornero. Noi abbiamo proposto al Governo e continuiamo a ritenere necessario:

l’uscita flessibile a partire dai 62 anni  il riconoscimento della diversa gravosità dei lavori la pensione di garanzia per i giovani e per chi ha carriere discontinue e “povere”  il riconoscimento del lavoro di cura  il riconoscimento della differenza di genere  l’uscita con 41 anni di contributi senza limiti di età.

Inoltre, senza alcun confronto preventivo con le Organizzazioni Sindacali, si interviene sul meccanismo di indicizzazione delle pensioni in essere tagliando così la loro rivalutazione rispetto all’inflazione per destinare 3,5mld così recuperati in favore del lavoro autonomo e per finanziare interventi che aumentano le disuguaglianze.

Sono assenti temi sui quali la legge di bilancio dovrebbe confrontarsi: ad esempio le POLITICHE INDUSTRIALI ED ENERGETICHE di un Paese che rappresenta la seconda manifattura europea e che deve affrontare la trasformazione digitale e la riconversione verde. Nei prossimi giorni chiederemo un confronto con tutte le forze politiche e richiederemo al Governo ed al Parlamento modifiche sostanziali.

 

Avevamo proposto un confronto vero. Il Governo non ci ha ascoltato, e contro scelte non ispirate a criteri di giustizia sociale, di solidarietà, senza alcuna visione di prospettiva anzi aumentando divisioni e disuguaglianze, al sindacato non resta che la mobilitazione. E in Puglia ci sono motivazioni ulteriori per sostenere la mobilitazione, diffondere e far conoscere le proposte della Cgil, partecipare allo sciopero.